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La
Nadja di Breton si situa al
centro di istanze e di contrasti
irrisolti, propri non solo del
surrealismo, ma di tutta la cultura
europea del '900. La sua importanza
sta proprio in questo in questo suo
essere nodo complesso quanti altri
mai, accumulo fascinoso di teorie
nuovissime ma non del tutto assimilate
(e perciò vissute col senso del
"meraviglioso") e riflusso
incessante nel vecchio che torna ad
insidiare la rete delle parole. Il
"romanzo" è un insieme di
frammenti, un coagulato di particelle
semplici in continua attrazione e
repulsione; ma è pur esso, nel suo
insieme, un frammento alla deriva,
poliedrico e mutevole, eppure compatto
e suggestivo. Nel suo svolgersi Nadja
diventa simbolo dei suoi simboli,
deontologia analogica di incomparabile
fattura, mondo in cui volutamente il
vecchio è distrutto e inesistente e
il nuovo s'affaccia a tratti, per
folgorazioni improvvise.
La geometria non euclidea, giocata
sull'asse più profondo della
narrazione come suggestione
intravista, s'impossessa dell'intera
costruzione dell'opera. Essa, come una
galassia, è una doppia spirale in cui
il punto opposto è il punto di
partenza sul quale «colui che da
estreme lontananze viene incontro» a
se stesso lancia all'altro sé un
grido disperato e infinito.
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