La magnifica e breve ouverture, con cui
inizia l’Opera, c’ introduce subito al tema
dominante del
torero Escamillo
– l’odiato rivale che porta via a don Josè
il cuore di Carmen – seguito immediatamente
dall’eco,
angolosa e colma di
funesti presagi,
del tragico finale: si tratta
di espedienti utili e non certo adottati in
modo sistematico o esauriente.
Ecco la piazza di Siviglia con la sua
caserma e il tabacchificio, ove la storia ha
inizio: il canto dei militari addetti alla
manifattura,
la bella e solare Micaëla in cerca di don
Josè,
e il chiassoso sciamar dei monelli che –
durante il cambio della guardia –
scimmiottano allegramente il cerimoniale dei
soldati.
Suona la campanella della fabbrica ed ecco
le operaie in libera uscita con i loro
sigari fumanti e il loro canto; l’ingresso
spavaldo di
Carmen– la bella gitana corteggiata da
tutti – che si presenta subito con la
celebre Habanera,
motivo non originale di cui s’avvalse Bizet
per dar corpo ai suoi versi sulla volubilità
dell’amore:
«uccello
ribelle, che non conosce regole, né leggi…
Tu l’insegui, ti
sfugge… tu lo fuggi, ti segue.».
L’amore: eterno gioco delle
Parti,
che fa bello il gioco e, proprio per ciò,
pericoloso
e
tragico,
come si dimostrerà alla fine.
Abbastanza lineare è la storia di Carmen,
seducente e sfrontata, sensuale e
inebriante: ogni uomo vorrebbe tutta sua e
tutta per sé quella gitana, che – come
l’uccello della canzone – è inafferrabile,
indomita e indomabile, e non può essere
ridotta in confini domestici. E’ di una
femminilità traboccante: strega gli uomini
per catturarli e li getta via senza
rimpianto.
Non
è Violetta, alla quale – vittima delle
convenzioni – è vietato il riscatto e muore
nel momento stesso in cui son cadute tutte
le barriere; non è ThaÏs – la mitica
cortigiana d’Alessandria –, che si spegne
redenta mentre il suo salvatore perde
l’anima, dannato dalla febbre dei sensi; e
non è nemmeno Magda di Civry, anche lei
prostituta d’alto bordo, la quale –
ricalcando un po’ la storia di Violetta –
con
cervellotica decisione
(tutta
da melodramma)
– rinuncia ad iniziare una vita normalee
onorata,
quando ha già il consenso e la benedizione
della mamma di Ruggero.
Pur
essendo donna
fatale,
non è nemmeno Lady Macbeth, che la sete di
potere
porterà alla distruzione propria e di chi la
circonda.
Carmen ostenta le sue grazie e si vanta
delle sue conquiste; fuma sulla scena,
seduce soldati, corrompe funzionari doganali
e fa contrabbando di nascosto. Ma è
affascinante, intelligente, fatalista e a
volte persino tenera, e la sua musica è così
accattivante ch’è impossibile sfuggire al
suo magnetismo.
Non
è schiava al potere del maschio.
E’
il simbolo stesso della Donna
fatale,
l’Eterno
Femminino
che coinvolge, sconvolge, seduce, rapisce e
trascina; ce lo confessa il Duca di Mantova,
lo spregevole libertino di “Rigoletto”,
che proclama: -“La
donna è mobile, qual piuma al vento…”,
ma è felice soltanto chi sul suo seno può
libare amore.
A
differenza delle altre femmine di
vita,
Carmen è lei che comanda: lei decide a
chi,
dove,
come
e
quando
concedersi, quanto
e
per quanto
legarsi…
Padrona e arbitro del proprio destino:
libera sempre, ad ogni costo, senza remore e
senza freni, fino all’ultimo respiro!
E morirà sulla scena per la sua libertà.
***
Ma
Carmen è anche la storia di Don
Josè – il bravo ed onesto ragazzo
di paese, militare di stanza a Siviglia –,
cui la mamma invia un po’ di danaro e una
lettera per tramite di Micaëla, l’orfanella
diciottenne dagli occhi azzurri e dalle
trecce d’oro accolta in casa, che vorrebbe
per nuora, considerato che i due giovani già
si vogliono bene.
Il
brigadiere dei dragoni è ardente e ingenuo,
ignora che nel fiore di gaggia – lanciatogli
da Carmen durante la sua provocatoria habanera
e finito là ai suoi piedi – è il seme del
desiderio
che si rivelerà metastasi
per il cuore.
Se
ne accorgerà poco dopo, quando – ubriacato
dalle seduzioni della zingara che sta per
tradurre in prigione – la lascia scappare
per incontrarla alla taverna di Lillas
Pastia, dopo un mese passato agli arresti e
dopo essere stato degradato.
Carmencita danzerà, allora, solo per lui,
mentre un dannato contrattempo lo
costringerà a unirsi ai contrabbandieri là,
tra le montagne dell’Andalusia.
Saranno giorni di felicità e
d’avventura, che metteranno a dura prova il
carattere volubile di Carmen, già stanca
dell’uomo possessivo, che si è dimostrato
l’amante.
Josè vuole la donna tutta per sé, non
può neppure pensare di abbandonar la sua
zingara. Non sa accettare o dividere Carmen
con un altro uomo: per questo la ucciderà.
Morta, la sentirà finalmente tutta sua, per
sempre.
_____________
Da:
PARSIFAL (Pag.347 e
segg,)
Come già evidenziammo, la complessa ed
emblematica trama delle Opere in Wagner non
ha come scopo solo la vicenda, godibile o
meno, ma fine a se stessa: tutto convoglia
ad un insieme di ipotesi, di problemi,
d’interrogativi e di supposizioni per non
facile soluzione; gli studiosi s’affannano a
capire,
a cercare d’interpretarlo appieno, spesso
attribuendogli concetti ed intenzioni
nemmeno lontanamente pensati: un po’ come
succede per il Sommo Poeta.
E
in questo sono pregio
e
condanna,
propri del Genio.
Protagonista come Siegfried, Parsifal è
anch’egli un
predestinato,
cresciuto da una madre che (‘quasi
folle’,
precisa il testo) cerca preservarlo dalla
civiltà, dalle tentazioni e dalle devianze,
che questo comporta; il puro-folle,
è una sorta di caos
primigenio
in attesa di essere plasmato, di prendere
forma; e – mentre Siegfried non conosce
la
paura
– Parsifal non conosce la
sofferenza,
la
compassione,
e la
compassione per la sofferenza,
indispensabili alla redenzione.
Come “L’Anello
del Nibelungo”,
anche quest’Opera – pur cercando di
affrancarsi da Miti e da Leggende – non
riesce a liberarsene appieno.
Ed
ecco che il Musicista va ad attingere
ispirazioni buddiste con la
Reincarnazione di Kundry: è Erodiade,
che derise Gesù, o Maria Maddalena, suo
tredicesimo Apostolo, prediletta?...
Non
c’è consentito conoscerlo con sicurezza.
Il
personaggio è un misto di angelico
e di diabolico,
diabolicamente-angelico,
che immerge lo spettatore nell’atmosfera
magica, magistralmente creata dalla musica,
e che – qualche anno dopo – Jule Massenet
saprà, con pari maestria, trasfondere in
Manon e in Thaǐs, sue stupende eroine.
Resta la vicenda, come ci viene proposta.
Parsifal,il
predestinato,
che alimenta, sin dall’inizio, le fondate
speranze del vecchio Gurnemanz, ma che –
posto dinanzi al mistero dell’Eucaristia –
resta come folgorato.
E
delude.
Così – anche se predestinato redentore –
deve essere, a sua volta, redento;
e lo fa attraverso le tentazioni
di Kundry, superando le quali attinge le
vette dell’Agape
oltre ogni limite terreno, fino alla coscienza
della compassione
(quella
che illumina la religione di Cristo),
grazie alla quale realizza la redenzione
sua, dello impuro Amfortas e di Kundry –
sospesa nel Tempo – che, scontato il suo
debito, trova finalmente la Pace.
Deluse resteranno le aspettative di
Friedrich Nietzsche
(1844-1900),
amico d’un tempo, che aveva sperato vedere
nel Compositore il vendicatore di Dioniso,
simbolo dell’arte tragica greca, vinto e
umiliato da Gesù agli albori del
Cristianesimo.
Pur
se profondamente turbato e commosso dinanzi
alla grandezza di tanta musica, Nietzsche
gli contesta che –
partito dalla distruzione del Walhalla,
l’Olimpo degli dèi nordici – aveva finito,
come vuole una certa tradizione filosofica e
musicologica, per
inginocchiarsi di fronte alla Croce.
Invero, bisogna riconoscere che per Wagner
““Parsifal divenne una specie di sintesi
finale dell'evoluzione del suo spirito.
“Pessimismo
schopenhaueriano, religiosità cristiana,
misticismo buddistico si fusero insieme in
uno stato d'animo unitario di vicinanza a
Dio nella rinunzia e nella pietà.””
Per cui
““Parsifal, il puro folle, reso veggente
dalla pietà – alla fine – redime nella
rinunzia e nella religione della pietà la
vita intessuta di peccato e di dolore, e la
restituisce, disciolta in estatica
beatitudine, alla pura luce di Dio.””
(G.Gabetti)