Le pergamene angioine della Mater
Ecclesia Capuana (1293-1302)
ed. Palladio, Salerno, 2021
Il Medioevo non si ferma a metà
strada, il percorso sociale e religioso
della sua storia continua attraverso i
documenti, le pergamene ritrovate da uno
storico esploratore quale Giancarlo Bova,
che ne studia i materiali e i simboli,
facendone libri viventi: le strade di Terra
di Lavoro consumate dal tempo ritornano
percorribili, a meglio conoscere o a
scoprire un passato rimasto ignoto,
inconsapevolmente dimenticato da chi procede
distratto nel turbinìo degli eventi. Lo
storico li analizza con la dovuta
attenzione, riandando alle loro origini
lontane, economiche e spirituali. Così Bova
ha ritrovato la presenza di uomini e paesi
sbiaditi nei secoli, richiamati dalle
pergamene archiviate. Qui Terra di Lavoro
riacquista il suo spazio: Capua e Caserta,
Sessa e Teano, Marcianise e Maddaloni,
Casagiove e Casapulla, anche le frazioni
della città di Caserta oggi poco
considerate, Sala, Aldifreda, Puccianiello,
Vaccheria, fino a Castelvolturno, lungo il
fiume, al mare…
È l’inchiostro consistente dello storico a
dare la giusta visibilità alle lettere
minuscole incontrate nello studio delle
pergamene angioine, è lo storico addetto a
guarirle dal loro cattivo stato di
conservazione. E non è soltanto una
questione di abilità tecnica, di chi si
muove bene tra i meandri di un archivio,
come sa fare un consumato studioso qual è
Bova. Alla validità di un libro di storia,
locale e non solo, contribuisce l’interesse
dell’autore al territorio di appartenenza,
alle sue trame sociali e istituzionali.
Anche qualcosa di più dell’interesse, si
potrebbe dire: l’affezione, nel nostro caso
a Terra di Lavoro, a quanto si è lavorato e
pregato in questa regione del Mezzogiorno.
I ben “trecentoquattro pezzi” raccolti nel
volume di Giancarlo Bova ci dicono della
febbrile attività amministrativa dei
religiosi campani, prevalentemente capuani,
di fine ’200 e inizio ’300, a dimostrazione
di una Chiesa non votata alla sola
contemplazione: i quadri socio-religiosi
proposti dallo storico medievista, relativi
ad un periodo del basso Medioevo comunale e
commerciale (1293-1302), comprendono insieme
alle chiese gli ospedali, accanto ai
monasteri i mulini, le pezze di terra, le
botteghe artigiane; gli abitanti locali
convivono con i forestieri e gli stranieri,
i prelati con i giudici e i notai; la terra
è al centro della comunicazione. L’altare,
l’oro e la terra sono i parametri di
riferimento dell’accurata ricerca
archivistica dello storico capuano.
Dei documenti visionati dal Bova è lo stesso
storico a segnalarcene alcuni nella sua
articolata Introduzione, esemplificativi
della pratica amministrativa di quel tempo,
di una dinamica disinvolta che potrebbe
dirsi pre-moderna.
Dai documenti presi in considerazione si
evince che la Chiesa in quei secoli XIII e
XIV non ha governato solo il traffico delle
indulgenze, essa si è mossa in altri diversi
àmbiti: terriero, proprietario, finanziario.
Valga, a mo’ d’esempio, la concessione da
parte dell’arcivescovo Giacomo di due
tenimenta a Baialardo in virtù dei servizi
resigli, previo l’im- pegno di quest’ultimo
a versargli ogni anno una certa somma di
tarì di Amalfi.
Dal maschile al femminile, non mancano le
badesse, quale Galgana, a concedere pezze di
terra dietro il versamento dei tarì d’oro
pattuiti.
Più famoso della badessa di un monastero,
papa Bonifacio VIII concede al nobile
capuano Bartolomeo la costruzione di un
ospedale.
All’autorità pontificia si aggiungono i
regnanti: è stata la regina di Napoli, Maria
di Ungheria, moglie del re Carlo II d’Angiò,
a rinunciare ai suoi diritti regi su quel
feudo di Capua prelevato dal logoteta
Bartolomeo perché vi costruisse l’ospedale.
Saranno gli stessi d’Angiò, il figlio di
Carlo, re Roberto, a intervenire in difesa
di vassalli vessati nel lavoro dei campi
casertani.
Re Roberto, detto il Saggio, era sensibile
ai buoni affari, tanto da avvalersi della
collaborazione dell’intraprendente vescovo
Ingeranno Stella, autorizzato ad affidare a
suo fratello Riccardo la supplenza
nell’ammi-nistrazione della diocesi capuana.
Le pergamene passate in rassegna dallo
storico si affollano di nomi, di religiosi e
laici, di soli religiosi, operanti in
spiritualibus et temporalibus, per eredità e
vendite, per concessioni e corresponsioni,
per consensi e legittimazioni.
Si succedono le anime da salvare, gli affari
da sbrigare, gli accordi da prendere alla
presenza di sacerdoti e giudici, notai,
testimoni. Sotto la croce si versano le
monete, le raccomandazioni divine e le
attribuzioni materiali procedono di pari
passo. Gli scambi umani vedono muoversi
anche figure non necessariamente solenni: la
“ligia vassalla”, la “mamma abbandonata” dai
figli che dona alla Chiesa i suoi beni per
ricevere assistenza, il “sacerdote infermo”
che a mente lucida detta il suo testamento.
L’acribìa, non necessariamente gelida,
induce lo storico a misurare lo “stato di
conservazione” delle pergamene, come
dicevamo sopra: a volte discreto, altre
volte pessimo.
È bene sapere che dalle lacerazioni di quei
documenti, equivalenti alle tribolazioni
della vita, può sempre uscire qualcosa di
visibile, una sorta di riparazione.
Pensiamo al signum del notaio Nicolaus,
vediamo quel “mazzolino di tre margherite”.
Cogliamo i fiori della Storia.